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La prostatite cronica può presentarsi come uno strascico di un episodio acuto. In questo caso, nonostante i sintomi siano migliorati, il paziente avrà comunque la sensazione di non essere guarito, provando ancora un certo fastidio anche a cura finita, che tenderà a peggiorare nei mesi. In altri casi i sintomi inizieranno a manifestarsi in maniera sfumata e graduale per intensificarsi fino a costringere il paziente a consultare un medico. I campanelli d'allarme che annunciano lo sviluppo di una prostatite cronica sono, all'inizio, aspecifici e confondibili con una banale influenza: febbricola, brividi, stato generale di spossatezza e malessere. Con il progredire della malattia compaiono segnali più indicativi come ad esempio bisogno frequente di urinare, soprattutto di notte, bruciore durante l'eiaculazione, dolore localizzato in tutta la zona genitale e rettale, incapacità di trattenere le urine ed eventualmente tracce di sangue nell'urina o nell'eiaculato. Questa sintomatologia è meno intensa nella prostatite cronica rispetto a quella acuta ma è un dato importante da fornire al medico, per indirizzarlo ad una corretta diagnosi. Spesso le prostatiti vengono confuse con le cistiti.
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Il primo dato importante per arrivare ad una diagnosi veloce e tempestiva di prostatite cronica e, quindi, dare la possibilità al medico di base o allo specialista urologo di instaurare una corretta terapia, è l'anamnesi. I sintomi della prostatite sono piuttosto localizzati ed indicativi ed è buona cosa riferirli con precisione. Un altro strumento diagnostico molto importante, soprattutto in un regime di cronicità, è un prelievo di sangue per controllare l'emocromo e stabilire se la causa sia batterica o abatterica. Il medico può richiedere, inoltre, una visita specialistica che si effettua con un apprezzamento manuale della ghiandola prostatica, passando dal retto, per monitorarne grandezza e consistenza. Può essere utile, soprattutto se gli episodi si reiterano nel tempo a brevi distanze, approfondire ulteriormente il quadro clinico con un'ecografia tridimensionale che mostrerà in dettaglio la ghiandola e il suo funzionamento o con degli esami colturali su urine e sperma. Solo in alcuni casi può essere richiesta una biopsia ma, solitamente, è una pratica a cui si ricorre se il paziente ha più di 50 anni o gli esami già effettuati non sono chiari.
In caso gli esami del sangue siano positivi per batteri, il medico instaurerà immediatamente un dosaggio antibiotico, specificamente calibrato sul paziente e sul tipo di batterio rilevato. Nella prostatite cronica la cura antibiotica può essere protratta anche per lunghi periodi, in base alla risposta del paziente e alla severità della sintomatologia e dei valori sanguigni. Spesso si utilizza la metodologia di terapia a ciclo: si somministra antibiotico per diversi mesi inframezzando il regime terapeutico con una settimana di pausa ogni tre di assunzione. Se invece la prostatite cronica non risulta causata da batteri si consiglieranno antinfiammatori o semplici antidolorifi da assumere al bisogno, quando il dolore interferisce con le normali attività quotidiane o infastidisce particolarmente. Consigliato in ogni caso un follow up piuttosto stretto, con controlli periodici almeno una volta l'anno da intensificare a due dai 50 anni in poi. In coadiuvazione alle cure tradizionali, che prescrive il medico o lo specialista, si può provare ad abbinare qualche rimedio fitoterapico. Molto indicati a tal scopo decotti a base di tarassaco, equiseto o gramigna, reperibili in erboristeria.
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